Alla fine della Guerra in Italia prevalse un forte spirito di orgoglio. Tutti sappiamo quanto difficili siano stati i primi tempi, ma anche quanto floridi siano stati gli anni ’50 e ’60, quel periodo che è stato definito successivamente “il miracolo economico italiano”. Nelle case spuntavano i primi televisori, in cucina i frigoriferi e nuovi elettrodomestici mai visti prima, come la lavatrice. In strada sfilavano le tanto amate 500 e nelle piazze si facevano sempre più sentire i movimenti studenteschi. In famiglia in quel periodo producevamo e vendevamo ancora pasta, che veniva distribuita sfusa nelle drogherie, o in grandi scatoli di cartone. I miei fratelli erano soliti farne omaggio ai vigili urbani in città. Ricordate i piedistalli dai quali dirigevano il traffico agli incroci? Proprio alla loro base, durante le festività natalizie e pasquali, i cittadini lasciavano doni come segno di gratitudine, e spesso si trattava di prodotti alimentari. In strada c’erano più pedoni che automobilisti e il rapporto tra cittadini e Vigili Urbani era più “pacifico” di oggi.
Nei successivi anni ’70 a Napoli scoppiò l’epidemia del Colera. Più precisamente era l’agosto del ’73. A seguito di questa disgrazia cambiarono radicalmente le norme igienico sanitarie per la distribuzione e conservazione dei prodotti. Era categoricamente vietata la vendita e l’uso di prodotti sfusi. Al fine di preservare la nostra antica attività familiare, e garantire ai nostri fedeli clienti un grano puro e sicuro al 100%, io e i miei fratelli decidemmo di applicare il processo di sterilizzazione dei pomodori anche al grano: cottura, raffreddamento e conservazione in barattoli di latta. Proprio su questi ultimi decidemmo di applicare un’etichetta sulla quale stampammo la ricetta della Pastiera Napoletana, che tutt’oggi molti di voi seguono fedelmente e tramandano di generazione in generazione. Una piccola grande rivoluzione che ha mantenuto viva la nostra tradizione.
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